«Immaginare il mio confratello salesiano che aspettava fino a tarda sera il giovane che tornava dal lavoro per offrirgli la cena insieme ad altri due educatori, come un vero fratello o un padre, mi commuoveva. Mi sono detto: Don Bosco farebbe lo stesso».
Carissimi amici del carisma di Don Bosco. Vi scrivo questo saluto da Quito, Ecuador, sede di un’Ispettoria salesiana nota anche per le sue missioni tra le popolazioni native Shuar e Achuar, così come per il suo lavoro educativo con i bambini di strada e i più svantaggiati.
E in un incontro con un salesiano del Perù, ho avuto la grande gioia di sentire una realtà che mi ha fatto sentire fortemente quanto ho sentito nel mio cuore: Don Bosco avrebbe fatto lo stesso.
Questo è ciò che voglio condividere con voi.
Si tratta di una nuova presenza salesiana a Lima-Perù. La casa dove vengono accolti questi giovani e le famiglie (e capirete perché dico “famiglie”) si chiama “Casa Don Bosco per l’accoglienza di giovani immigrati e rifugiati”.
L’iniziativa è iniziata 4 anni fa, nel 2018, con l’accoglienza nella casa salesiana di 5 ragazzi, ancora minorenni, arrivati senza documenti dal Venezuela. Vagabondavano per strada a Lima, cercando di vivere e sopravvivere fino a quando hanno ricevuto l’invito ad andare alla casa di Don Bosco. Ho pensato mentre lo ascoltavo: è lo stesso cammino che Don Bosco fece a Valdocco all’inizio dell’Oratorio nella casetta Pinardi.
Tutti gli studiosi di Don Bosco sono d’accordo su un punto. Il “modello familiare” non era l’unico che Don Bosco avesse a disposizione dalla tradizione per descrivere la comunità educativa, ma evidentemente lo considerava il più adatto. Secondo il suo modo di pensare, essendo la famiglia la prima comunità educativa e il luogo naturale dell’educazione del bambino, la comunità educativa doveva riprodurre idealmente e in forma ottimale l’ambiente familiare.
Un’altra casa, un’altra vita
Don Bosco lo preferiva anche per ragioni personali. Lemoyne afferma che “l’amore santificato di famiglia era un’inclinazione prepotente nel suo cuore”. Braido parla di passione per l’intimità familiare come di una caratteristica precipua del temperamento di Don Bosco. Stella sostiene che questo fosse un aspetto della sua personalità, prodotto dall’essere sin da piccolo rimasto orfano.
L’influenza morale e l’efficacia educativa del suo metodo risultano ancor più chiare se consideriamo che molti dei suoi “figli” non avevano mai ricevuto l’amore e la cura di una madre o di un padre, oppure erano in altro modo molto svantaggiati.
Va ricordato che il primo Oratorio era una “casa” per i giovani anche perché vi trovavano delle madri. Questo era un tocco speciale che Don Bosco volle mantenere il più a lungo possibile, e non solamente per ragioni pratiche: sua madre Margherita con la sorella Marianna Occhiena, la signora Rua, la signora Gastaldi, la signora Bellia ed altre ancora.
I “ragazzi perduti” di Lima iniziarono la loro “altra vita” nella Casa Don Bosco. Da allora, più di 600 giovani sono passati attraverso la casa fino a trovare una situazione stabile. Oggi sono 47 a vivere nella casa, e sette di loro sono giovani adulti che avevano una famiglia o una giovane moglie e l’hanno portata con loro.
I giovani entrano in contatto con la Casa Don Bosco, che è sempre più conosciuta, perché “fanno correre la voce” tra di loro. Coloro che desiderano rimanervi vivono lì, condividono la vita con altri giovani e con gli educatori e il salesiano che accompagna il progetto, e che segue la vita della casa ogni giorno e accompagna la giornata di ogni giovane fin quando gli ultimi, spesso giovani che lavorano nel settore alberghiero, arrivano alla casa Don Bosco per riposare, verso l’una di notte. Immaginare il mio confratello salesiano che aspettava fino a tarda sera il giovane che tornava dal lavoro per offrirgli la cena insieme ad altri due educatori, mi commuoveva. Mi sono detto: Don Bosco farebbe lo stesso.
Questi giovani vengono anche aiutati nella preparazione dei documenti, nell’aiuto psicologico da parte di psicologi volontari, e viene data loro una piccola formazione e, per quelli che sono adatti, la possibilità di iniziare un lavoro con il quale possono guadagnarsi da vivere onestamente. Questi giovani provengono dalle situazioni più diverse; hanno vissuto le violenze più diverse. Provengono dalle sette più diverse o senza alcun riferimento religioso. L’unica cosa importante è che sono giovani che hanno bisogno di aiuto. Questa è l’unica documentazione che viene richiesta. Tutto il resto sarà risolto.
Una motocicletta per il futuro
Alcuni di loro hanno trovato lavoro con l’aiuto delle Missioni Don Bosco di Torino e della Missione Procura di Bonn (Germania). Sono state acquistate 20 motociclette e ai giovani che trovano lavoro come fattorini viene offerta una moto per il loro servizio. Non viene regalata. La pagano poco a poco durante i mesi o gli anni con i loro risparmi. E con i soldi del rimborso se ne comprano altre in modo che nuovi giovani possano avere un lavoro.
Mi è piaciuta questa risposta creativa alle situazioni di emergenza. E penso che sia un ottimo modo per togliere questi giovani dal pericolo della tossicodipendenza. Molti di loro, nella situazione attuale, facevano già uso di qualche tipo di narcotico. La Casa Don Bosco li sta aiutando ad uscirne completamente.
E c’è qualcos’altro che mi ha colpito. Si scopre che molti di questi giovani uomini hanno lasciato le loro giovani mogli, a volte con un bambino a casa. Fortunatamente, approfittando del fatto che la casa è grande, sette di queste giovani coppie hanno la propria stanza dove la famiglia ha potuto abitare insieme e avere una piccola casa, condividendo spazi comuni come la cucina e la sala da pranzo con altre giovani coppie, accompagnate anche dagli educatori e dal salesiano che guida il progetto per conto della vicina comunità salesiana.
La Casa Don Bosco per immigrati e rifugiati a Magdalena del Mar a Lima sta cambiando in meglio la vita di molti giovani e coppie molto giovani. E forse queste cose non sono menzionate nelle notizie in ogni paese. Forse ogni giorno siamo “nutriti” con notizie terribili e dure, ma esiste anche il bene che viene seminato ogni giorno. E questo bene deve essere condiviso e fatto conoscere.
Grazie, cari amici, per aver condiviso con me questa buona notizia. Resto convinto che Don Bosco oggi farebbe lo stesso.
Don Ángel Fernández Artime,
Rettor Maggiore
Riprodotto da sito ANS Agenzia Notizie Salesiane